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Grafica e comunicazione

Nel Portfolio presentiamo alcuni lavori svolti in questo rigido scorcio invernale: la calda, solare immagine della nuova collezione Estate 2013 di Belvest; le campagne pubblicitarie 2013 dei Campioni del Mondo Philippe Gilbert e Periklis Ilias per DMT; il nuovo logo e la nuova immagine coordinata di Corte Aura, produttore di ottimo spumante in Franciacorta. 

 

È un equivoco, bellezza

“La bellezza salverà il mondo”, declamava l’Idiota di Dostoevskij; e la frase, divenuta nel frattempo un tormentone, è una sorta di insensato passpartout, utile a incartare ciccolatini e a infiocchettare cortei rivoluzionari. Ma di cosa stiamo parlando quando cerchiamo di definire la bellezza? (Me lo chiedo perché mi pare sia tra le parole che la modernità ha più svuotato di senso; e anche perché è una di quelle a cui sono più affezionato).

“Un abito indossato da alcune donne per alcuni anni” (Dino Risi)? O più semplicemente “la migliore lettera di raccomandazione” (Aristotele). Oppure “una trappola in cui ogni uomo di buon senso sarebbe felice di cadere” (Oscar Wilde)? Del resto Bruno Munari ci avvisa: “Se volete sapere qualcosa di più sulla bellezza, che cos’è esattamente, consultate una storia dell’arte e vedrete che ogni epoca ha le sue veneri e che queste veneri messe assieme e confrontate, fuori dalle loro epoche, sono una famiglia di mostri”. Bellezza: niente più che un aspetto legato alla moda, quindi... 

Mi chiedo: ma se grandi uomini come i summenzionati (sì, anche Dino Risi non scherzava) hanno inteso la bellezza in questo micragnosissimo modo... non sono io che sbaglio (a caricarla di senso)? 
Tutti sappiamo che la bellezza può consolare oppure turbare, o anche le due cose assieme, magari a intermittenza; ma è chiaro che quando si parla di bellezza si pensa a qualcosa di non primario, di accessorio, di non determinante. Certo, la bellezza non viene mai trattata con indifferenza, perché è la bellezza stessa che esige di essere notata. Oltretutto la sua ambivalenza, consolatoria e perturbante, è stata intesa sin dalla classicità, che l’ha distinta in apollinea, luminosa e armonica, e dionisiaca, eccitata e sconvolgente. Forse per questo suo naturale contrasto resta sempre qualcosa a cui ci si appella con ambiguità.
Ma il problema è un altro, e riguarda lo striminzito ambito a cui via via è stata costretta: da parola/concetto-centrale è stata relegata sempre più a sterile aggettivo. Per esempio sarà capitato anche a voi di sentir parlare della bellezza in contrapposizione all’intelligenza e alla bontà, specie se riferita alle caratteristiche salienti in una donna (o in un uomo). Come se l’intelligenza e la bontà potessero essere in contrasto con il concetto di bellezza (e non parti di questa!). Il riferimento all’esteriorità è divenuto il solo parametro utile nel caso d’uso della parola in questione. Si è perso del tutto il senso di bellezza come organismo complesso restando, come residuo, quello che sarebbe appropriato riferire alla semplice parola ‘gradevolezza’... Un malinteso, o meglio uno scempio.

D’altronde quando parliamo di estetica (che ha in oggetto la bellezza) abbiamo l’impressione che questa disciplina si interessi del superfluo, perché i bisogni primari sono (sembrano) altri. L’estetica stessa ha contribuito a diffondere questa impressione, quella cioè che il proprio contenuto sia un bene superfluo. I contenuti della religione, della scienza, della filosofia e della tecnica avrebbero invece a che fare con i beni necessari, indispensabili.
Protesto: la bellezza è primaria, determinante! La bellezza è davvero in grado di salvarci, come dice bene l’Idiota (assai meno idiota di quel che si sia portati a pensare).

Resta un fatto: parlare di bellezza è sempre stato difficile. Il grande e controverso poeta Ezra Pound nel saggio ‘L’artista serio’ concludeva così: “Non ci si mette a discutere su un vento d’aprile: quando lo si incontra ci si sente rianimati, così come quando s’incontra in Platone un pensiero che corre fulmineo, o un bel profilo di statua”. Frase che racconta sì della difficoltà ma anche della ineffabile, cangiante, misteriosissima poliedricità del concetto così difficile da descrivere e contenere in una parola. 

E non a caso è Emanuele Severino, con il suo consueto profondo e coraggioso acume, che riesce a parlarne come si deve, quando mette in parallelo la bellezza e la ‘festa arcaica’. Perché l’uomo fa festa? si chiede Severino. Per trovare un rimedio al pericolo della vita. Il rimedio come festa include, unifica, ciò che poi verrà chiamato religione, filosofia, tecnica, arte; la bellezza è quindi un aspetto fondante del rimedio. Anzi, non uno qualsiasi ma proprio l’aspetto fondante (e la cosa, lo ammetto, comincia a piacermi sul serio). Citando il Simposio di Platone Severino arriva ad affermare che “Si vuole il bene mediante il bello per essere vincitori sulla morte e questo può essere ottenuto dai mortali tramite la generazione dei figli, che li continuano. L’uomo è colui che contempla la verità e contemplando l’idea della bellezza è in grado di partorire ciò che più conta: la vera virtù che produce la vita immortale. Il bello compare quindi come lo strumento mediante il quale è possibile, sia nel corpo che nell’anima, liberarsi della morte. Infatti in tutta la storia dell’occidente la storia della verità è la storia della bellezza”.
Insomma, per Severino (e per Platone) il bello è strumento essenziale per arrivare al bene, e si capisce facilmente come questa concezione sia diversa da quella secondo cui il bello è un semplice ornamento per dire cose vere, e quindi qualcosa di accessorio, superfluo...

In verità Severino va oltre, e d’altronde non potrebbe essere altrimenti per un uomo che ha saputo gestire la profondità di campo verso l’ignoto come mai nessuno prima: “La bellezza appartiene alla categoria del rimedio, l’ultimo rifugio della natura; è tutto ciò che resterà dopo che la civiltà della tecnica avrà fallito. Cosa vuol dire rimedio? Vuol dire fede nell’esistenza del pericolo; ma che cos’è il pericolo? Il pericolo è quel divenire, quel fuoco annientante al quale anche l’uomo appartiene come la più pericolosa delle cose pericolose; la categoria del salvatore è essenzialmente connessa al concetto di rimedio e al concetto di bellezza”.

Abbracciando metaforicamente quel gran maestro del pensiero e della (non vana) speranza che è Severino, concludo con due citazioni più leggiadre ma di segno diverso rispetto a quelle con cui ho aperto l’istantanea: “La bellezza ha due tagli, uno di gioia l’altro di angoscia, e taglia in due il cuore” (Virginia Woolf ); “La bellezza è indicazione dell’eterno perché rivela una mancanza e ci racconta un’attesa” (Francesco Brancato).

 

18/01/2013 Filippo Maglione