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Grafica e comunicazione

Box Caffè, rinomato locale in Prato della Valle a Padova, in previsione di diventare un brand e di diffondersi in Italia e nel mondo, ci ha ingaggiati per coordinare la nuova immagine e la comunicazione. Oltre a questo complesso e colorato lavoro presentiamo la minimale, essenziale, rarefatta immagine del grande fotografo newyorkese Wolfgang Wesener, in arte wowe. Nel frattempo uno dei nostri video si è aggiudicato un premio ai Mediastars di Milano.

Socialismi

Recentemente a teatro mi sono trovato al fianco una coppia di giovani, trentenni o giù di lì. Fanno sempre un certo effetto i giovani al Teatro Verdi di Padova, noto centro di ricreazione per anziani. Entrambi hanno fatto brillare il cellulare per tutto il tempo, a intervalli di non più di dieci minuti; impossibile non notarlo, complice anche una pièce dimenticabile. Ogni tanto risultava palese anche una fugace digitazione. Mi sono chiesto che razza d’informazioni di vitale importanza stessero scambiandosi col mondo là fuori, per non riuscire a procrastinare l’operazione di una misera oretta e mezza, il tempo di quella lieve diversione teatrale. Non seguendo, da anni, alcun organo d’informazione mi sono chiesto, a un certo punto, se per caso non fosse in corso un evento decisivo per le sorti dell’umanità, un’entrata in guerra o, che so, una calamità naturale d’immani proporzioni. Una volta a casa mi sono informato, ma tra le solite fandonie e tragedie circoscritte non è emerso nulla di rilevante. Credo quindi che volessero, semplicemente, seguire e aggiornare i profili del gruppo di ‘amici’ su Facebook.

Ho ripensato la coppia di giovani in un ambiente diverso da quello teatrale, in un momento memorabile e meno complesso da decifrare. Li ho immaginati in visita alle cascate del Niagara per la prima volta. Svoltano l’angolo, vedono l’immenso fragoroso muro fluido e lo fotografano d’istinto. Quindi si fotografano a vicenda con la cascata sullo sfondo; poi attivano l’autoscatto e cercano la presa migliore per riprendersi insieme senza trascurare la cascata; ci provano più volte modificando il punto di vista; girano anche alcuni piccoli video molto simpatici; poi cercano una terza persona che fotografi loro due e la cascata, anche qui cercando l’angolo di ripresa migliore. Poi, mentre sono ancora lì, davanti alle cascate, selezionano le foto, entrano in Facebook, scrivono, caricano, mettono in rete.

E soddisfattissimi se ne vanno.

Hanno davvero visto le cascate, si sono lasciati andare cullandosi in quell’onda d’urto, ne hanno sentito il fremito, la grandezza, la spaventosità? Si sono fatti attrarre da quello spettacolo della natura, si sono lasciati conquistare?
Perché avrebbero dovuto? Loro volevano solo far sapere in giro che erano lì, e che si stavano divertendo come dei matti; insomma, volevano far sapere al mondo (amici, parenti, colleghi, conoscenti e semisconosciuti) che loro sono ‘tipi giusti che sanno vivere’.

Giovani ridotti in questo stato li capisco. Mi fanno solo un po’ pena e tenerezza, carichi di tutta quella sterile e fiduciosa virtualità esibita. E non ce l’ho con il social network in sé; Facebook per esempio non è un male assoluto, se usato come un discreto sostentamento capace di lenire una mancanza, ravvivare un ricordo, riallacciare legami perduti. È l’uso parossistico che lo fa diventare mostruoso: alla lunga non fa più percepire il reale. E non lo fa percepire per... semplice disinteresse, noncuranza; non per una particolare forma di spleen, scetticismo o consapevolezza intellettuale.
L’unico vero interesse, da cui scaturisce il disinteresse per il resto (la realtà che si ha davanti) è ‘far sapere’ agli altri che si è lì, in quel posto, e si sta facendo quella cosa. Un assurdo eccesso di volontà di comunicazione, quindi, che genera però, paradossalmente, una forma di autismo (diminuzione dell’integrazione socio-relazionale) e mancanza di comunicazione interna, cioè di consapevolezza, che dovrebbe essere alla base stessa di ogni comunicazione tra gli umani.

I giovani scaraventati in rete mi turbano, ma un cinquantenne che usa Facebook - e in generale gli aggeggi tecnologici - allo stesso modo dei giovani, lo trovo ridicolo.
Sono rimasto sorpreso nell’apprendere che masse di persone mature, e magari non del tutto sprovvedute, hanno l’abitudine d’informare l’universo mondo della loro profondità, sensibilità, libertà e bellezza con stereotipate frasi da cioccolatini (quasi che frequentassero tutti lo stesso pasticcere). Mi colpiscono per esempio le foto evocative accompagnate a frasi o citazioni assai impegnative, pur da cioccolatini come detto, ad alto contenuto sentimentale o addirittura filosofico, frasi del tutto prive d’ironia, è giusto precisarlo. Spesso ciò che viene ‘postato’ è questo: una coppia sorridente davanti a qualcosa di eccezionale (un tramonto, un luogo esotico, la cuccia del cane in giardino), o dietro a qualcosa di altrettanto eccezionale (una torta piena zeppa di candeline, un vistoso cadeau o lo stesso cane di prima, quello della cuccia in giardino); immagini accompagnate immancabilmente da una frase memorabile con l’accento della più accorata intimità. Spesso queste frasi prendono l’abbrivio dalla particella “Tu sei”, riferita alla persona effigiata che accompagna la scrivente.

Se analizziamo una frase edulcorata e profonda che inizia con “Tu sei”, immessa in rete tramite i social network, c’è davvero un mondo da scoprire. Anzitutto il valore dell’intimità. Lei (mettiamo che sia lei - le donne leggono e scrivono mediamente più dell’uomo) si rivolge a lui direttamente, l’incipit non può lasciare dubbi: è qualcosa tra loro, di molto intimo. Questo messaggio trae il suo valore proprio in questo intimissimo rapporto a due. Ma nel momento in cui lui non basta più come interlocutore, e diventa necessario far sapere al mondo in maniera diretta e immediata (nemmeno come ricordo) il tenore del loro affetto, comprensione, amore... ecco che questo messaggio diventa automaticamente ‘pornografia’ (l’erotismo è un percorso di conoscenza; la pornografia la ripetizione di meccaniche impersonali ed esibite). Ma non solo. Lei è come se implicitamente dicesse: “Tu, destinatario di questo meraviglioso messaggio, non mi basti”. La necessità di un pubblico che entri nell’intimità delle loro vite è la prova che il rapporto sta in piedi anzitutto perché è una ‘rappresentazione’. Altrimenti, se fosse sincero e profondo, non solo non sentirebbero la necessità d’esternarlo a cani e porci ma, al contrario, avrebbero l’urgenza di proteggerlo agli occhi del mondo, quel rapporto, proprio perché l’esperienza insegna che le persone che tengono davvero a noi, alla nostra felicità, sono poche, pochissime, e non possono certo avvicinarsi alle centinaia di aggregati che chiamiamo ‘amici’ su Facebook. Cosicché quando la coppia testè illustrata si separerà, farà godere le decine e decine di persone che alla vista di quei messaggi così meravigliosamente romantici si erano rose dall’invidia della felicità altrui; godendo quindi nel rispecchiarsi in un disastro che lenisce in buona parte il loro (per il meschino principio ma sempre validissimo del ‘mal comune mezzo gaudio’).

Osservando per la prima volta con acribìa il mondo dei social network (le considerazioni che precedono sono solo una piccola parte di un’analisi ben più estesa e preoccupante) mi sono quindi convinto che si stia materializzando in questi anni una particolare forma di ‘socialismo’. Come quello propriamente detto e che rimanda al pensiero marxista, anche questo si propone una trasformazione radicale della società nel senso dell’uguaglianza, che comprenda tutti, nessuno escluso: siamo tutti costantemente connessi e trattiamo tutti gli stessi eterni argomenti. Solo che quello si proponeva a suo fondamento la ‘soppressione della proprietà privata dei mezzi di produzione’; questo la più sottile e pervasiva ‘soppressione della proprietà intellettuale dei mezzi di discernimento’.

15/04/2014 Filippo Maglione