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Grafica e comunicazione

Citare, eccitare

Dovrai sempre subire delle critiche! Di te parleranno male! Difficile ti sarà incontrare qualcuno a cui tu possa piacere così come sei! E allora vivi, fai ciò che il cuor ti detta! Paragona la vita ad un opera di teatro senza prove iniziali! Balla, canta, ridi, vivendo intensamente ogni giorno, ogni attimo della tua vita, prima che l’opera finisca senza applausi...!  
Auguri da tutto lo staff

Sono rimasto un paio di minuti a fissare questo bellissimo testo (sporcato solo da troppi punti esclamativi), appiccicato alla vetrina di un negozio di articoli sportivi a pochi passi da casa, durante le recenti festività. Una coppia di giovani, al mio fianco, continuava a fotografarlo, tentando anche un improbabile selfie, sprizzando ammirazione da tutti i pori - rivolta evidentemente allo staff capace di partorire un pensiero così eccitante, insieme dolce e amaro, lucido e poetico. Sì perché, a meno che non si sappia già, a nessuno verrebbe in mente di attribuire quel testo a un tizio geniale, bizzarro e anche un po’ controverso, defunto da tempo, che risponde al nome di Charlie Chaplin. Nella vetrina, infatti, non era nemmeno virgolettato (primo indizio di una citazione) e l’unica firma era quella (tutto lo staff).

Mi sono chiesto il perché di questa omissione. Perché si vergognano di Charlot? O semplicemente perché l’obiettivo era apparire geniali agli occhi degli altri, senza prestiti e inutili precisazioni? Credo che la seconda sia l’unica opzione plausibile: evidentemente non basta più dimostrarsi acuti nello scovare la citazione giusta, occorre manifestare direttamente la propria genialità, senza mezzi termini. Se il negozio non fosse stato già chiuso sarei di certo entrato per chiedere lumi agli “autori” di quel testo. Magari, presi in castagna, mi avrebbero parlato di plagio inconscio: un riferimento che si assimila, che resta dentro e sedimenta e che poi emerge intonso, non dettato quindi da malafede; oggi questo stato soprannaturale ha anche un nome: criptomnesia. Quasi di certo, invece, non avrebbero minimamente badato alle mie rimostranze, considerandole inutili scrupoli di una mente lenta e antica, fuori dal mondo; in fondo le questioni etiche legate al rispetto che dobbiamo ai maestri sono ormai superate da tempo e questa è l’epoca del saccheggio facilitato e indiscriminato via web: quando tutto è in circolo, quando tutto è fruibile, fugace e senza peso, tutto perde valore.

Devo però precisare che non ho nulla contro l’imitazione. Sarebbe da idioti, pensando anche al mestiere che svolgo. Più volte ho avuto modo di rimarcare come la cosiddetta creatività in realtà sia solo un “mettere insieme le cose”, un mettere insieme che presuppone il “riferimento a”, quindi l’imitazione, perciò il plagio (l’imitazione, sotto i più diversi aspetti, di un’opera creata precedentemente). Nessuno inventa niente. D’altronde il plagio è alla base di qualsiasi manifestazione creativa, da sempre (per le note che seguono mi servo anche di alcuni riferimenti raccolti da un bel testo di Luigi Romolo Carrino - a scanso di equivoci mi perito di riportare la fonte con precisione onomastica).

L’imitazione creativa è alla base di tutta la poesia dell’antica Roma, per esempio. Shakespeare ha attinto a piene mani dal repertorio e in altre epoche sarebbe stato marchiato come plagiatore. Lolita, il celebre romanzo di Nabokov, è un plagio di un racconto breve con lo stesso titolo pubblicato da Heinz von Eschwege, scrittore tedesco vissuto a Berlino nello stesso periodo di Nabokov. Eliot ci offre la chiave di volta, il valore stesso del plagio, descrivendo la tecnica da lui usata nel suo capolavoro, La terra desolata: “I poeti immaturi imitano; i maturi rubano; i cattivi poeti svisano ciò che prendono e i buoni lo trasformano in qualcosa di migliore o almeno diverso. Il buon poeta salda il suo furto in un complesso di sensi che è unico; il cattivo lo getta in qualcosa che non ha coesione”. È fuor di dubbio che Shakespeare, Nabokov ed Eliot siano stati, quantomeno, dei buoni poeti. Il catalano Pere Gimferrer ne I segreti del plagio ci offre un piccolo esempio pratico: “Volete un verso famoso di Dante? Eccolo: “Come neve per Alpe senza vento”. Che semplicemente migliora un verso del suo amico Guido Cavalcanti: “E bianca neve scender senza vento”. Lo migliora nella cadenza: introducendo, giustamente, la menzione delle Alpi, ed eliminando il verbo per suggerire la quiete del paesaggio. È una rielaborazione, che però ci fa vedere tutto con occhio più chiaro”.

Quindi l’imitazione produce un valore, a patto che colui che imita o copia produca qualcosa di migliore dell’originale, o anche solo di diverso: ai miei umili occhi l’importante è, quanto meno, provarci (non tutti possono essere Dante o Shakespeare). Per questo nel caso minuscolo del testo di Charlie Chaplin appiccicato alla vetrina del negozio sportivo ci vedo solo la smargiassata del pubblicitario ignorante e pigro, oltre che vanaglorioso, che vuole carpire la fiducia del prossimo attirando il pubblico in un negozio che può vantare uno staff da premio Oscar. Qui è in gioco la dignità personale di chi sostituisce la firma senza fare nient’altro che quello.

Ma infine penso di aver comunque torto: al pubblico non interessa l’originalità e tanto meno la paternità di un testo o di un’idea, quanto la sua particolarità, fugace e momentanea, e l’eccitazione che ne può derivare divulgandola in rete tramite un selfie, come fosse una conquista personale, una frase capace di descrivere una parte della propria “anima bella”. Perciò, per questo menefreghismo incrociato, il menefreghismo di chi scrive e il menefreghismo di chi legge, dominati tutti dall’emozione fugace e momentanea da veicolare sul web per dare consistenza alla propria “immagine eccitante”, tutto diventa vacuo, liquido e contaminato, per usare due brutte espressioni, ma tanto di moda.

Infine mi spiace non aver potuto intervistare il famigerato staff. Di certo qualcuno di loro avrebbe detto che le mie implicazioni etiche e filosofiche sono solo seghe mentali di un vecchio bacucco. È sempre bello sentirselo dire. Come dice Carrino il senso è più o meno questo: “Io do una cosa a te, e basta: tu nemmeno sai chi sia a dartela, si tratta di un contributo alla storia del progresso, le idee circolano da sole, senza pregiudizio d’autore, vengono sentite come proprie da ciascuno”. Salvo poi passare all’incasso. Pigri, furbi, democratici, liquidi, contaminati, eccitanti. Anzi: moderni. 

17/01/2017 Filippo Maglione