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Grafica e comunicazione

Tra i vari lavori svolti e in via di svolgimento in questo serrato inizio d'anno, mi piace segnalare la serie completa di nuove etichette per la collezione di vini Suavia, azienda agricola situata nel cuore della zona del Soave, nel veronese.

Vincere

"La cosa più segretamente temuta accade sempre" (Cesare Pavese). Temevo che Yu-na Kim potesse non vincere. Temevo che la discrezionalità dei giudici, pur disciplinata e irretita dall'attuale sistema di assegnazione dei punteggi, potesse giocare a suo sfavore in casa Russia. Lo temevo sul serio, perché ogni innamorato teme, sul serio, le potenziali sciagure che incombono sulla benamata (un colpo di fulmine che rimonta alla sua prima apparizione in video). Ed è stato un colpo al cuore sentire Max Ambesi annunciare a gola spiegata, lui sempre così pacato, il misfatto della cosiddetta giuria ("Non ci credo, non ci credo!") un attimo prima della comparsa delle sovrimpressioni che ne sancivano la sconfitta. La dura sconfitta in pochi numeri freddi più del ghiaccio. Max Ambesi, che è uno strepitoso cultore di sport, è caduto non meno di me nel "tranello della vittoria". Ma è stato lui a rialzarsi per primo. Subito dopo aver definito "rapina" il misfatto compiuto dai cosiddetti giudici, ha cercato di motivare razionalmente il loro operato; ma soprattutto, resosi conto che le motivazioni razionali non avrebbero colmato la misura a dovere, ha spostato l'attenzione là dove era necessario spostarla, ovvero sul concetto stesso di vittoria. Ridimensionandone il peso, il valore, in virtù di valori più alti, estetici e quindi etici, arrivando a relativizzarla e a personalizzarla ("La vincitrice per me è Yu-na Kim...").

"Quanti criteri ci sono per giudicare una persona? Non molti. Brutalmente possiamo ritenerla buona o cattiva, coraggiosa o codarda, appartenente al nostro gruppo o meno, talentuosa o priva di talento, vincente o perdente. Naturalmente ciascuno di questi criteri ha le sue sfumature o sottocategorie, ma di base la situazione è questa. Se mi si chiede qual è il criterio dominante oggi, direi quest'ultimo. Ciò che conta è vincere, è il volume delle vendite, la celebrità, world domination, come dicono gli americani". (Tim Parks)

Diciamolo chiaramente: è difficile ridimensionare il peso della vittoria, del successo, proprio perché la dominazione di cui parla Parks (ne parla per contrastarla) è schiacciante e sotto gli occhi di tutti. Una celebre squadra di calcio italiana si è fatta ricamare sulla maglia da gioco la frase: "Vincere è l'unica cosa che conta", contraria al valore formativo di cui lo sport di qualsiasi ordine e grado dovrebbe farsi partecipe, se non proprio portatore. Nessuno ha obiettato alcunché, molti hanno lodato lo spirito forte, "virile" diciamo così, della frase. È un segno piccolissimo, quasi ridicolo, micragnoso. Ma è spesso dai piccoli segni che si misurano le grandi derive incipienti. Senza valori a supporto di vittoria e sconfitta una civiltà la rischia sul serio, la deriva.

Ma si sa: a sollevare questioni del genere, e oltre tutto il giorno dopo una sconfitta, si rischia solo di sentir risuonare la vecchia storia della volpe e dell'uva. O al più di venir giudicati affetti da snobistico e sterile cerebralismo intellettualoide - giustificato anche da questa ennesima flagrante citazione:  "Dove tutto per successo si legittima / e si scambia lo sguardo e la promessa / nel profumo del vino e delle cose / tu servi la sconfitta, servi lo spirito". (G. Benn)

Sinceramente, a freddo e nella solitudine notturna, mi chiedo: cosa sarebbe stata un'altra vittoria per la mia Kim? Era davvero necessaria per definirla la più grande pattinatrice di figura della storia? E ora magari, senza questa ennesima vittoria, io non mi sento più legittimato a considerarla tale? Il giudizio del pannello scalfisce in qualche modo l'invincibile magia di grazia e bellezza che mi ha donato in quei minuti? Cosa sarebbe stata un'altra medaglia d'oro se non una cosa in più, un'altra vanità? E invece quanto questa prestazione mi sarà cara nel ricordo proprio per la più o meno grave ingiustizia subita? Perché sarà in grado di ricordarmi che il pattinaggio di figura è anzitutto grazia e armonia e non "il conto delle patate dei salti e delle trottole" (Silvia Fontana, bellissima). Che io e io solo, e non i giudici, sono responsabile e fruitore delle mie emozioni, e del loro ricordo. Perché questo giudizio mi ha reso più umana, più fragile e perciò più bella ancora, quella che rischiava di diventare col tempo una icona altera, imbattibile, irraggiungibile (che poi già cominciava ad apparirmi un po' tale, idolatrata com'è in patria). Perché me l'ha fatta apprezzare stupenda nella più dura delle sconfitte, colta con la medesima grazia e sorridente levità espresse nelle sue giornate trionfali.

Quella vittoria che rischiava di essere una cosa in più, un'altra delle vanità da ostentare, si è quindi tramutata in qualcosa "di illimitato, d'incessante, capace di qualsiasi forma e qualsiasi colore e non costretta in alcuno. Esiste in qualche modo. Vivrà e crescerà con me fino alla fine" (J.L.Borges).

03/03/2014 Filippo Maglione