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Grafica e comunicazione

È appena sfumata un’estate di ragguardevole impegno (e vacanze irrisorie), testimoniato da una selezione di lavori notevoli e divertenti, o solo notevoli, o solo divertenti, che presentiamo nel portfolio: dall’immagine The One al Video Cipollini 2017, dal progetto Brado per Interzum 2017 ai quattro siti Brado, da Libertate a Cuore Iberico, dai mitici 12 Apostoli a DMT.



Non lo so

Non seguendo da tempo le “notizie del giorno”, negli anni sono stato costretto a inanellare una lunga serie di “Non lo so”, rivolti a chiunque abbia chiesto un parere attorno a un misfatto, a un uomo o a un partito politico, a una celebrità del video o del web, a un caso giudiziario, a un’iniziativa politica, economica, finanziaria. Proprio per le mie enormi e conclamate lacune resto stupito di come ognuno possa vantare una propria perentoria opinione su tutto (del resto una volta credevo di averla anch’io, un’opinione su tutto). Resto stranito soprattutto dalla certezza con cui vengono giudicate questioni complesse, che presuppongono un alto tasso di competenze, svariate e trasversali. Per le singole nozioni credo che Google e Wikipedia offrano un servizio decente, affinché chiunque possa “avere una certa infarinatura” (come si diceva una volta) su un argomento qualsiasi. Ma quel che né Google né Wikipedia possono offrire, pronta all’uso, è proprio l’intelligenza indispensabile a legare gli ambiti, a strutturare le connessioni, ad armonizzare nozioni di natura diversa, utili a formare un parere personale con una buona approssimazione di veridicità, o quanto meno di coerenza, su qualsiasi argomento preso in considerazione: la realtà, purtroppo, è maledettamente complessa, e non è mai riducibile a una presa di posizione istintiva, lapidaria e netta - esclusi i rari casi in cui il male e il bene si presentano al nostro orizzonte morale nitidi e ben stagliati (capita di rado, e quasi sempre in contesti estremi, drammatici).

Al di là del fatto che le voci di Wikipedia sono spesso scritte in un pessimo italiano e a volte clamorosamente insufficienti anche per una semplice infarinatura, se non proprio sbagliate (me ne accorgo ogni volta che esamino le voci relative al paio d’argomenti che da sempre frequento con passione), esse si limitano a fornire un segmento di conoscenza che può servire come semplice presupposto a un’opinione. Per l’opinione vera e propria oggi vengono in soccorso i famigerati blog, divisi in fazioni e frequentati secondo un rigoroso senso d’appartenenza, nella smania di veder confermati i propri pregiudizi: niente di più lontano da uno strumento utile per formare un’opinione seria, equilibrata. Il presupposto epistemologico di tali strumenti virtuali può essere sintetizzato dalla celebre frase di Ernst Bloch, mutuata da Hegel (ovviamente spogliata del senso filosofico legato all’idealismo e alla negazione dell’esistenza della realtà fenomenica): “Se la realtà mi contraddice, tanto peggio per la realtà”. Alla fine di questa panoramica non mi meraviglia per niente vedermi sfilare in parata pregiudizi argomentati con sicumera, piuttosto che opinioni plausibili, intendendo la plausibilità frutto anche dell’incertezza che porta in dote la vita reale.

In questo contesto s’innesta benone un articolo di Armando Massarenti apparso di recente sulla Domenica del Sole dedicato al libro di Antonio Sgobba intitolato, con arguzia, “?”, corredato da un sottotitolo che ne delucida al meglio l’argomento: “Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google”. Massarenti prende l’abbrivio dalle numerose analisi pubblicate negli ultimi anni che indicano l’Italia primeggiare, tra i paesi Ocse, nella triste competizione dell’analfabetismo funzionale. Per analfabetismo funzionale s’intende l’incapacità a usare in modo efficace le competenze di base, soprattutto di lettura e scrittura, incapacità che fa il paio con l’analfabetismo di ritorno, riferito a quella quota di alfabetizzati che, senza l’esercitazione delle relative competenze, regredisce nel tempo perdendo la capacità di utilizzare il linguaggio scritto per formulare e comprendere messaggi. Secondo ricerche internazionali quasi l’80% degli italiani sa leggere e scrivere con difficoltà e solo per brevi elaborati. Il confronto con gli altri paesi del mondo industrializzato ci pone più in alto del solo Messico. Oibò.

Ma per Massarenti e Sgobba il problema è posto male. Gli italiani non sono i più ignoranti di tutti, quanto i più saccenti. Immensamente saccenti e non in grado di trattare l’ignoranza per quel che è: non sinonimo di stupidità e imbecillità ma il mare magnum in cui tutti, il colto e l’inclita, sono costretti a navigare. L’ignoranza è la normalità non l’eccezione, perciò si dovrebbe considerare anomala la conoscenza. Sembra un paradosso ma non lo è se pensiamo “all’immensità delle cose del mondo”, per dirla in maniera semplice. L’ignoranza, nella sua immensità, non è definibile, né misurabile, né indicizzabile, non è possibile dire esattamente in cosa siamo ignoranti, poiché dire che non si sa una certa cosa significa in realtà saperla, in qualche modo.

Bisogna distinguere invece tra ignoranza ed errore. Molto meglio essere ignoranti che sapientoni con la testa piena di idee sbagliate. L’Indice di ignoranza in realtà non indicizza l’ignoranza dei vari Paesi, quanto i loro errori. In definitiva gli italiani non sono ignoranti: gli italiani si sbagliano. Dovremmo considerare come casi di ignoranza solo quelli in cui l’intervistato non risponde o non sa, ma questi sono casi rarissimi: spesso, pur di riempire i vuoti, ci lasciamo andare a ipotesi o a presunte conoscenze, quasi sempre frutto di pregiudizi. Il più chiaro indice di ignoranza è l’incapacità di rispondere a domande sensate in modo convincente, ma infine rispondere lo stesso, invece di pronunciare un semplice, e in fondo liberatorio, “Non lo so”.

29/09/2017 Filippo Maglione