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Grafica e comunicazione

Nel portfolio sono presenti carrellate di alcuni lavori svolti nei mesi estivi: ‘Open your eyes’ per Cipollini, ‘In the air’ per Belvest, ‘The click to success’ per EURid, la nuova immagine 2013 per DMT, il nuovo sito Suavia e le realizzazioni svolte per Cipollini Design.

 

Dell'incertezza (e dell'imperfezione)

Mi ricollego alla precedente istantanea. Un altro esempio d’uso del domenicale del Sole 24 Ore è piú sottile e non riguarda direttamente la professione. In occasione della preparazione di un ciclo di lezioni dedicato al tema controverso dell’estetica che avrà luogo il prossimo inverno presso l’Esac di Vicenza, mi sono trovato in difficoltà nel cercare di definire un nucleo da cui dipanare l’intricata matassa. L’estetica offre infatti una libertà didattica sterminata, inerendo (in buona parte perlomeno) il mondo delle sensazioni, del gusto e del giudizio, per loro stessa natura ‘personali’. Una sequela infinita di ‘questioni di lana caprina’, insomma. Per questo, infine, ho optato per organizzare piú che un ciclo di lezioni propriamente dette, un viaggio fatto di ariose suggestioni, l’opposto di un percorso sistematico, per cercare di trasferire l’emozione dell’atto estetico-creativo, non necessariamente legato al mondo dell’arte. Arte che, a scanso di equivoci e con puntiglio anacronistico, mi piace ancora intendere dominata da una certa ‘aura’, da un pur marginale significato sacrale - ben conscio delle limitazioni e contraddizioni legate agli aspetti più nefasti della cultura di massa globalizzata in cui troppo spesso il vacuo viene spacciato per sublime.

Dopo questa scelta di campo a livello di metodo, restava però intatto il dubbio sul punto di partenza, il nucleo da cui dipanare la matassa. Il punto di partenza è sempre importante, ma in un caso del genere diviene decisivo. Condiziona per sempre il neofita, che spesso è portato ad appassionarsi o meno a una nuova materia di studi in virtù del grado d’interesse che saprà sollecitare in rapporto al proprio vissuto. Per questo cercavo l’incipit ideale, anche un po’ ad effetto, sono sincero (l’effetto desta attenzione, e Dio solo sa quanto un insegnante, pergiunta balbuziente, necessiti d’attenzione). Un formidabile aiuto me l’ha fornito lo scrittore greco (ma in realtà discretamente apolide) Petros Markaris che, in un testo pubblicato sulla Domenica del Sole di qualche settimana fa, si è brevemente intrattenuto su concetti decisivi, e generativi, nell’ambito dell’estetica contemporanea. Riprendendo Socrate e la base stessa di tutto il filosofare occidentale, Markaris afferma che la verità si trova nell’incertezza, perché solo l’incertezza ci spinge a ricercare la verità dei fatti. Mi pare innegabile, quasi banale: solo l’incertezza ha il potere di tenerci svegli. E la ricerca della verità rientra già nell’ambito della verità (di quella che ci è concesso d’esperire su questa terra, per lo meno). La certezza, al contrario, sarà quasi sempre un sedativo per la mente che, confermando le illusioni, condurrà a una verità solo apparente. 

(Di passaggio e velocemente: questi presupposti potranno portare a ritenere che la verità in realtà sia liquida e mutevole, non ferma e immutabile come normalmente la si immagina, con il rischio di una deriva relativista, specie per menti poco allenate. Credo sia il rischio da correre, perché solo questi restano i presupposti ideali per una ricerca incessante, “destinata a ripetersi ogni volta in circostanze diverse”, oltre a essere i migliori antidoti ai totalitarismi d’ogni tipo e foggia.)

Ma qui Markaris fa un passo davvero decisivo, spostando i termini della questione in ambito propriamente estetico: “Se l’incertezza apre la strada verso la verità, l’incompiutezza è il meccanismo che mette in moto la fantasia”. L’incompiutezza chiama in causa giocoforza il tema dell’imperfezione, oltre a quello del non-finito. Questi, se ci pensiamo bene, sono i presupposti di tutta l’arte delle avanguardie novecentesche ma anche di alcuni geniali precursori che hanno aperto la strada alla modernità, come per esempio Beethoven, citato dallo stesso Markaris, che una volta disse che se si fosse attenuto alle regole dell’armonia (ai suoi tempi qualcosa strettamente legato alla verità e alla certezza) non avrebbe composto nemmeno un pezzo di pianoforte. Il non finito, l’incerto, l’imperfetto, il frammentario di moltissima arte moderna e contemporanea non sono, come a volte vengono lette, insufficienze, quanto scelte estetiche consapevoli che rispecchiano il mondo in cui viviamo e che mettono in moto una relazione strettissima tra artefice e fruitore dell’opera d’arte. Anzitutto tengono in moto la fantasia dell’artefice, sempre aperta alle sollecitazioni esterne e mai richiusa all’interno della propria opera-ombelico ritenuta con boria pienamente compiuta; e poi svegliano la fantasia del fruitore, che è stimolato a ripensare e idealmente a completare da par suo gli elementi incompiuti, incerti, frammentari, imperfetti dell’opera dell’artefice.

In questo incontro tra artefice e fruitore si attua una complementarietà sconosciuta all’arte antica. In questa complementarietà, come detto, c’è infine il nucleo di tanta arte contemporanea che non viene intesa proprio perché pare non fornire più ‘risposte’ ma sollecitare solo ‘domande’, spesso nemmeno così divertenti (e qui mi permetto di rimandare a una mia precedente istantanea). In un certo senso le domande che l’opera sollecita sono viste come lacune (non sono le risposte che cercavamo!) ma queste lacune possono diventare potenti stimoli per lo spettatore che le vorrà colmare con i mezzi interpretativi a sua disposizione. Così egli stesso creerà qualcosa di nuovo. Questa catena raggiunge, magari a tentoni, una sorta di ‘verità personale’ dello spettatore proprio attraverso l’incertezza, l’incompiutezza o la frammentarietà della rappresentazione.

Ecco cosí che l’idea di far partire un corso di studi di estetica dal tema dell’incertezza, per arrivare a stimolare una partecipazione “attiva” dell’allievo su un tema che magari inconsciamente già conosce bene come quello delle sensazioni, del gusto e del giudizio personali... si rivelerà azzeccata (e mi permetto di affermarlo perché l’idea non è mia bensì di Markaris). 

Lo stesso giorno della lettura di questo testo, per quelle magiche coincidenze che a tutta prima riescono sempre a stordirmi, ho visto il film “The Artist” (per inciso una sublime prova d’intelligenza cinematografica che poteva provenire solo dalla Francia). Ebbene, in un lampo le parole di Markaris hanno preso una straordinaria consistenza visivo-uditiva. Il motivo lo spiega lo stesso regista, Hazanavicius, nell’intervista che accompagna il DVD: “Volevo che il pubblico condividesse l’esperienza fortemente sensuale del guardare una pellicola senza parole, seguendo una storia in cui diventa fortemente partecipe, perché deve riempirla delle proprie emozioni. L’assenza di suono spinge la gente a mettere nel film molto di piú sé stessa. Il suono è molto importante in un film, dove non c’è sonoro è il pubblico che lo crea, inventa i dialoghi ed è costretto a fare uso della propria immaginazione”.

Non avrei mai immaginato di emozionarmi e di commuovermi per un film sulla carta cosí difettoso, incompleto, anacronistico. Il difetto, l’incompletezza, l’anacronismo sono riempiti peró di passione, la passione con cui sono palesemente innervati il soggetto, la sceneggiatura, la recitazione (un capolavoro è quasi sempre un organismo complesso che trae linfa dalla passione degli artefici, o dell’artefice). È la passione di cui è innervato (ripeto il verbo non a caso) il film che ci induce a non considerarne determinante il difetto, la mancanza, e che anzi proprio in grazia di questi ci sprona a completarlo con le nostre forze (e la nostra passione) per infine farlo diventare uno stimolo di vita attuale, che concerne quindi anche la nostra stessa vita - tutt’altro che anacronistico, quindi. In fondo questa è una metafora dell’amore, che puó sorgere sincero solo se in noi, cosí come nell’altro da noi, riusciamo a vedere una creatura degna di con-passione, con i suoi difetti e incompletezze, con le sue paure e incertezze. Un essere umano pieno di sé, che stenta quindi a valutare i propri difetti, sarà sempre incapace di amare l’altro da sé, cosí come sarà impossibile da amare una donna che consideriamo perfetta, e cosí via...

Prima di inoltrarmi in perigliosissimi sentieri chiudo; e lo faccio ancora con Markaris che, da navigato uomo di lettere, si congeda con un vero e proprio coup de théâtre (e lo cito parola per parola, perché lo merita davvero):

“Esattamente questa incertezza socratica che conduce alla verità è descritta da Shakespeare con altre parole nella commedia Misura per misura: ‘Se aspiro a vivere mi accorgo che cerco di morire, e cercando la morte trovo la vita’. La compiutezza della morte ci induce a cercare l’incompiutezza della vita, e la certezza della morte l’incertezza della sua verità.”

D’accordo, tutto questo gioco d’equilibrio tra certezza e incertezza, compiutezza e incompiutezza, vita e morte, resta sospeso sul filo della contraddittorietà, ma è innegabile il fascino di un gioco d’intelligenza che riempie la testa di una bellezza sterile, incompleta, appagante e pura.

28/09/2012 Filippo Maglione