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Grafica e comunicazione

A settembre di quest’anno cade il trentennale della fondazione del nostro studio. Iniziamo il periodo di celebrazione meditando attorno al disordine globale, visto trionfare in questo memorabile lasso di tempo.

 

1989-2019: un trentennio da ripensare

Nell’estate del 1984, quando varcai per la prima volta la soglia di uno studio di grafica pubblicitaria, era appena stato creato il primo computer con interfaccia grafica e mouse di serie, il Macintosh 128K. Tranne che per l’uso creativo della fotocopiatrice, si può dire che la metodologia di lavoro e gli strumenti in uso in uno studio di grafica pubblicitaria non differissero di molto rispetto ai metodi e agli strumenti in uso all’Accademia di Belle Arti, che allora frequentavo (matite, pennarelli, pennelli, pastelli, pennini, aeropenne…). Verso la fine dell’estate del 1989, quando finalmente diedi vita al mio studio professionale, i tempi del passaggio epocale dal fatto a mano al digitale erano già maturi, tant’è che poco dopo anche noi ci adeguammo, pur recalcitranti, al sistema detto Mac, che ancora oggi condiziona e scandisce la nostra vita.

In trent’anni il mondo è trasfigurato. E proprio l’anno 1989 può dirsi il punto di svolta del cambiamento: la globalizzazione e il digitale hanno preso l’abbrivio giusto in quei mesi. Per attestarlo basta accennare a una cronologia essenziale. Il 15 gennaio a Praga, durante la commemorazione della morte di Jan Palach, vengono arrestati centinaia di manifestanti, tra i quali Václav Havel. Il 13 marzo il documento “World Wide Web: Summary”, che sancisce la nascita di quel che chiamiamo Internet, viene presentato da Tim Berners-Lee presso il CERN di Ginevra (giudicato “vago ma interessante”). Il 18 aprile a Pechino cominciano le proteste studentesche in Piazza Tienanmen. Il 14 settembre in Sudafrica il nuovo presidente Frederik Willem de Klerk apre nei confronti dell’abolizione dell’apartheid. Il 9 novembre a Berlino cade, fisicamente e simbolicamente, il muro che divideva la città dal 1961. Il 7 dicembre in Unione Sovietica l’articolo 6 della Costituzione, che definisce il ruolo del Partito Comunista come guida della società, è abrogato. L’anno si chiude dove si era aperto, a Praga: Václav Havel diventa presidente della Cecoslovacchia.

Ho voluto incorniciare i fatti decisivi con due eventi minimi, se valutati in rapporto agli altri, legati a una città tanto amata, capaci però di descrivere il ritmo del cambiamento: in undici mesi, senza passare attraverso una vera rivoluzione, un manifestante dissidente incarcerato da un regime dittatoriale è diventato il presidente della Repubblica di quello stesso Paese. Ciò che colpisce degli eventi elencati, capaci di imprimere una forza rivoluzionaria come raramente nella storia è accaduto, è il loro carattere “dialettico”, e tutto sommato pacifico: una manifestazione di piazza, disarmata; la presentazione di un documento scientifico; un’altra manifestazione di piazza, disarmata; un’apertura politica al mondo sociale; la caduta di un muro, essenzialmente simbolica e vissuta come un happening; l’abrogazione di un articolo della Costituzione. Più o meno è andata così, e il mondo iniziò a diventare quello che poi è diventato.

Si è quindi compiuto il processo di globalizzazione sotto l’egida della nostra razionalità. Per “nostra” intendo la civiltà occidentale, capace di trasmettere al mondo l’idea di razionalità (tramite il lògos) come discussione critica, ossia come dialettica: una scoperta dei greci, forse la più importante innovazione mai compiuta, generatrice della famosa triade su cui poggia la nostra civiltà e buona parte del nostro benessere: filosofia, scienza, tecnica, precisamente in quest’ordine. La possibilità di battersi con le parole invece che con le spade è un’invenzione dei greci, poi saldata con l’idealità cristiana, capace di intendere l’altro da sé (il cosiddetto prossimo), non più come un mezzo ma come un fine (secondo comandamento dell’amore di Gesù di Nazareth). Dario Antiseri, con sintesi mirabile, è arrivato ad affermare che l’Europa è socratica nella mente, cristiana nella volontà.

Sembra evidente: l’affermazione globale di un sistema che poggia su basi, ossia su Valori, così potenti, non può che trasformarsi in un enorme successo. Ma allora perché tutte queste lacerazioni, questi conflitti? Perché la globalizzazione ci appare oggi all’opposto di quella repubblica universale che Kant pensava come il fine della nostra avventura?

A questo punto interviene Massimo Cacciari, che invecchiando sta iniziando finalmente a scrivere con l’intento di farsi leggere anche da noi comuni mortali - gratificandoci così, con benevolenza, di un’eredità che sa che non meritiamo. Egli afferma che globalizzazione e razionalità si sono nel frattempo disgiunte, finendo per attuare una formidabile azione sradicante, piuttosto che aggregante, a causa di una cattiva volontà umana (utilitaristica all’eccesso) che porta a una distorta, e per molti versi contraria, lettura del lògos, la radice concettuale di tutto il nostro sistema. Nel vero senso di lògos non vibra l’imposizione, e perciò lo sradicamento, quanto il collegare, l’armonizzare. In questo modo, a forza di sradicamenti, nel mondo si stanno ampliando a dismisura le differenze, invece di saldarsi, trasformando la globalizzazione in disordine globale. Sradicamenti: dal proprio mondo, dalle proprie radici, dai propri affetti, da sé stessi.

Rifacendomi a Cacciari, ma restando alla mia limitatissima esperienza personale, posso affermare che il processo di globalizzazione, visto da vicino in questo trentennio, sembra aver perso via via il proprio carattere culturale e spirituale. Sembra poco, sembrano due semplici e fruste paroline: culturale e spirituale; e invece è tutto. In molti cristiani riconoscevo uno spirito missionario e in alcuni politici lo sforzo di dare un valore allo Stato, e allo Stato di diritto. Mi sembrava di vedere molti uomini di cultura sforzarsi seriamente di civilizzare. Sembrava davvero che il processo di razionalizzazione e globalizzazione dovesse procedere per continue aperture, tentativi di affermazione di valori e di fini universali - pur qui e lì corrotti da forme di volontà di potenza con diverse gradazioni e coloriture: si tratta pur sempre d’imprese umane, perciò, di per sé, in certa parte naturalmente corrotte.

All’inizio sembrava quindi di procedere per continue aperture. Ora non più. Cacciari chiede: quale appare oggi il carattere tremendo del processo di globalizzazione? E risponde: l’assenza di fini. E poi chiede: qual è il valore che il processo di globalizzazione ha assunto? E risponde: La crescita continua della ricchezza (fino a un certo momento vincolata a fattori di equità distributiva, oggi liberata anche da questi). Il valore è perciò diventato un termine dal significato esclusivamente economico (è razionalità questa, che spegnerebbe il sole perché non dà dividendi? - si chiedeva Keynes). Cacciari termina con un moto di speranza piuttosto vago. “Tuttavia dimensioni essenziali del nostro stesso lògos possono ancora essere ascoltate, o riudite, dopo averle magari dimenticate o rimosse”.

Più in concreto, credo occorra anzitutto contrastare la causa più importante della malattia, ben indicata da Antiseri: l’avvelenamento delle sorgenti. La sorgente della nostra civiltà è inquinata da un sistema educativo che non funziona più. Il declassamento degli insegnamenti umanistici rappresenta un furto di consapevolezza storica, filosofica, morale, poetica, letteraria e artistica: un furto di democrazia. Da questa fonte avvelenata finiscono per perdere sempre più consistenza regole e istituzioni costruite a difesa della libertà e dignità di ogni uomo e donna. Uomini e donne sempre più relegati a coltivare una vacua forma di narcisismo e “che con il massimo di fantasia riescono a dire ok” (H-G. Gadamer).

Se non si crede più alla battaglia delle idee, ma solo alla battaglia del grano, che porterà prima o poi alla spada; se continuiamo ad avvelenare le fonti della conoscenza sradicando il nostro pensiero; se la lezione più alta del cristianesimo tramonta in balia di un uomo tornato mezzo e non più fine… “se ne va tutta la nostra cultura, e allora dovremo attraversare molti secoli di barbarie” (T.S. Eliot).

26/02/2019 Filippo Maglione